Mitologia romana
Pomona



Pomona è un’antica divinità italica, che presiede alla fruttificazione. Al suo culto era addetto uno dei flamines minores, e si sa che esistevano i Pomonalia, festa (forse mobile) a lei dedicata. Con Vertumno condivideva inoltre la festa denominata Vertumnalia, che cadeva il 13 di agosto. Sappiamo ancora che sulla strada che da Roma conduceva a Ostia vi era un bosco a lei consacrato, chiamato Pomonale. L’etimologia del nome della dea è piuttosto trasparente, visto che si collega al sostantivo pōmum, «frutto», con tipica suffissazione italica.
Il poeta romano Ovidio, chiaramente influenzato dalla cultura ellenistica, ci racconta su Pomona un mito¹ divertente e gradevole, che merita di essere raccontato: si tratta della storia della seduzione della dea ad opera del dio Vertumno². Nella vicenda, per chiara influenza ellenica, Pomona è considerata non una dea ma una ninfa. Cosí Ovidio ci narra:
Pomona era appassionata delle piante da frutto, e da loro prendeva nome. Non amava le foreste o i fiumi, ma la campagna, e gli alberi ricolmi di frutti. Non portava un giavellotto, ma un falcetto, con cui spuntava la vegetazione, curava innesti, liberava il terreno dalle erbacce. La sua passione per i frutti la portava anche a essere totalmente indifferente agli amori: poiché era, però, piuttosto attraente, doveva sempre guardarsi dalle attenzioni dei maschi, e per questo motivo aveva accuratamente recintato il suo frutteto, e non permetteva agli uomini l’accesso. E non solo dagli uomini doveva guardarsi, ma anche dai satiri e dai fauni, e pure da qualche divinità.
Ma chi piú di ogni altro la desiderava era il dio Vertumno, che presiede al cambiamento stagionale e che possiede la capacità di assumere la forma che piú gli aggrada. Quante volte dunque, Vertumno, acceso di passione, passava di fronte al frutteto di Pomona, ora camuffato da vigoroso mietitore, ora da allevatore: passava con un cesto di spighe o con il fieno tra le tempie, ora con un pungolo ora con la falce in mano; passava con una scala, e sembrava un contadino che andasse a cogliere i frutti, o assumeva le sembianze di soldato di passaggio o di pescatore. Insomma, si mascherava in tutti i modi per godersi la vista di Pomona.
Fattosi piú audace, un giorno vestí le sembianze di una vecchina, ed entrò nel frutteto della sua amata. Ammirò gli alberi carichi di frutti e ne approfittò subito per lodare Pomona e darle un bel po’ di baci: insomma, se la baciò piú di quanto una vecchina avrebbe mai fatto. E poi si sedette e additò alla bella un olmo a cui si era avvinghiata una vite carica di grappoli. «Ma se stesse da solo, senza i tralci», disse, «non avrebbe niente di bello all’infuori delle proprie fronde; e lei, d’altronde, non fosse sposata all’olmo, giacerebbe per terra, senza appoggio». Vertumno continuò poi invitando Pomona a prendere esempio dalla vite: disedgnava gli amori, eppure neanche la celebre Elena era stata desiderata quanto lei: mille fra uomini e semidèi, e dèi e numi la bramavano! «Se sei saggia», disse ancora, «ascolta i consigli di questa vecchia che ti vuol bene: respingi le nozze di poco conto, e scegliti piuttosto come compagno Vertumno: è serio e giovane, e ti sarà sempre devoto. E poi ha il dono della bellezza, e può assumere l’aspetto che piú gli piace: e ama i frutti quanto te: anzi, lui è il primo a cui i frutti si offrono. Il fatto è che ormai non li desidera piú: infatti desidera solo te».
Vertumno poi ammoní Pomona: i cuori duri vengono puniti. E prese spunto da questa considerazione per raccontarle la triste storia del giovane Ifi, infelicemente innamorato di Anassàrete, che lo respingeva. Dopo che infine Ifi si fu data la morte per disperazione, e avvenne che il suo corteo funebre passasse di fronte alla casa della giovane, ella vide il suo corpo e fu subito trasformata in pietra. Tale è la sorte di chi ha il cuore di pietra. Ancora le disse di non respingere chi la amava, e le augurò che venti e gelo non danneggiassero i suoi frutti.
Ma nella sua forma di vecchina Vertumno parlava invano; e allora si ritrasformò, e riassunse il suo normale aspetto di bellissimo giovane, e fu come quando il sole disperde le nubi che lo offuscano e splende in tutta la sua luce. Ed esasperato dal desiderio sarebbe pure stato disposto a usare la forza per possedere Pomona; ma la violenza non fu necessaria: lei fu vinta dalla bellezza del dio, e sentí a sua volta l’amore trafiggerla.
  1. Metamorphoseon libri XV, libro XIV, versi 622-771. Leggi il testo in latino.
  2. Non v’è dubbio che Ovidio avesse una fantasia sconfinata. La vicenda da lui raccontata merita comunque di essere ricordata, sia per la sua piacevolezza, sia perché si tratta di una leggenda che coinvolge due divinità genuinamente italiche.

27 dicembre 2011


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.


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