Mitologia greca
Il processo di Oreste



Dopo aver compiuto la propria vendetta, uccidendo Egisto e la propria madre Clitemnestra, Oreste si vide comparire dinnanzi le infernali erinni, vendicatrici dei delitti compiuti contro il proprio sangue. Esse presero a tormentarlo con i loro pungoli dalla punta di bronzo, sottoponendolo a terribili sofferenze. Il delitto di Oreste aveva suscitato grande scalpore anche tra i mortali: giunse l’anziano Tindareo, suo nonno, che pretese che Oreste fosse sottoposto a processo; giunse Elena, e il suo consorte Menelao. Il processo ebbe luogo e i giudici condannarono Oreste, Pilade ed Elettra a togliersi la vita; i tre lasciarono il tribunale riproponendosi di non commettere il suicidio prima di aver punito Elena, che era stata la causa di tutte le loro sventure. Mentre Elettra catturava Ermione, figlia di Elena e Menelao, Oreste e Pilade si accostarono ad Elena e, approfittando della sua buona fede, tentarono di trafiggerla. Intervenne però Apollo in persona che ordinò ai mortali di farsi da parte, dato che si sarebbe occupato lui della questione. Ribadí che Oreste era sotto la sua protezione e lo inviò a Delfi.
Ciò non scoraggiò le erinni, che sono divinità piú antiche di Apollo e non lo temono; esse continuarono a seguire Oreste, pungolandolo e facendolo impazzire dal dolore. Forse le erinni si moltiplicarono, o forse oltre ad Aletto, Megera e Tisifone ne erano sempre esistite delle altre, poiché pare che esse si presentassero a Oreste come una schiera.
Anche quando fu giunto a Delfi Oreste non riuscí a liberarsi delle erinni: Apollo gli ordinò allora di attendere qualche tempo, sopportando con coraggio la prova a cui era sottoposto, e infine recarsi ad Atene e porsi sotto la protezione di Atena stessa. Oreste vagò per un anno, e dovunque andasse le erinni lo inseguivano. Perfino quando, sfinite, cadevano addormentate, l’ombra di Clitemnestra le destava dal sonno e le incitava a inseguire Oreste. Questi viaggiò per terra e per mare, ma mai poté sfuggire alle antiche dee. Impazzí dal dolore, ma neanche questo le placò; finí per staccarsi un dito con un morso, e questo impressionò le erinni abbastanza da far sí che gli permettessero di riacquistare la sanità mentale. Infine egli si presentò ad Atene, si recò al tempio di Atena sull’Acropoli, e abbracciò la sua statua. Di fronte agli ateniesi inorriditi giunsero le erinni, che informarono la cittadinanza delle colpe di Oreste. Era presente anche il vecchio Tindareo, che confermò le accuse delle erinni.
Fu allora che in tutto il suo splendore giunse Atena, radiosa dea della giustizia. Ella riuní sull’Areopago dodici giudici e istituí una corte che giudicasse i crimini di Oreste.
Si trattò di un processo eccezionale, dal momento che Apollo svolse il ruolo di avvocato difensore, e una delle erinni rappresentò la pubblica accusa. Sentite le argomentazioni delle due divinità (tra cui la singolare tesi di Apollo secondo cui il solo padre è genitore e trasmette ai figli il proprio sangue, mentre la madre non è che un ricettacolo: e che dunque Oreste non aveva commesso un delitto contro il proprio sangue), i giudici si divisero in perfetta parità; determinante fu il giudizio di Atena, che si schierò in difesa di Oreste. Egli dunque, malgrado le proteste delle erinni, fu prosciolto.
Dal mito trapela una celebrazione della società patriarcale, che si sostituisce gradualmente all’antica società matriarcale: della seconda sono patroni i nuovi dèi, della prima le erinni, divinità piú antiche. Un’altra chiave di interpretazione suggerisce tuttavia il superamento della giustizia tribale (che ammette la vendetta, cosí come compiuta da Oreste, come forma di riparazione del torto) da parte della giustizia della πόλις, che presuppone la presenza di un tribunale imparziale e che mette sullo stesso piano i legami di diritto con quelli di sangue. Se per la giustizia tribale il delitto di Clitemnestra (assassinio di un non consanguineo) era meno odioso di quello di Oreste (assassinio di una consanguinea), per la giustizia della πόλις essi stanno sullo stesso piano (d’altro canto, nella logica della giustizia tribale, diverse parti possono parimenti ritenere di essere nel giusto, e ciò impedisce la costituzione di una società civile). Ciò spiega perché i giudici si dividono: condannare Oreste secondo la volontà delle erinni significherebbe delegittimare la giustizia del tribunale e quindi la sua stessa ragion d’essere; e assolverlo delegittimerebbe il tribunale poiché sancirebbe l’ammissibilità della vendetta privata. Il passaggio alla nuova società deve dunque avvenire tramite un atto di compromesso.

20 ottobre 2011


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.


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