Mitologia romana
Rediculus



Molte volte i romani versarono in grave pericolo, ma vi furono alcuni episodi in cui parve rendersi opportuno l’intervento di una divinità a tutela della città eterna. Cosí, ad esempio Aio Loquente intervenne per avvisare della grave minaccia che incombeva sull’Urbe nel 362 a.C., quando i galli si avvicinavano minacciosi a Roma. Purtroppo l’avvertimento non venne tenuto in conto, e ne seguí la devastazione della città.
Un pericolo ben maggiore minacciava Roma nell’anno 211 a.C. I cartaginesi capeggiati da Annibale erano ormai giunti alle porte di Roma: l’eventualità che la città fosse posta sotto assedio e rasa al suolo si era ormai fatta molto concreta. Tuttavia, l’assedio non ebbe luogo: i nemici si accamparono in prossimità della città, ma non sferrarono l’attacco decisivo.
Il cambiamento di strategia del generale cartaginese salvò Roma da un grave pericolo: e i romani attribuirono la scelta del comandante nemico all’intervento di una divinità che aveva dissuaso Annibale dal porre l’assedio.
Il dio venne quindi chiamato Redicŭlus, dalla radice del verbo redīre, che significa “fare ritorno”: in questo caso, allontanarsi. I romani non seppero mai se Rediculus fosse una manifestazione di una divinità nota o magari un dio che si manifestava per la prima volta per proteggerli; ma vollero rivolgerglisi con un appellativo che ricordasse il suo intervento: in suo onore edificarono un tempio oltre la porta Capena, e a lui consacrarono un campo sulla via Appia.

Il grammatico Sesto Pompeo Festo, che fiorí nel II secolo d.C., ci offre nella sua opera De uerborum significatione libri XX l’interpretazione citata, ma lo fa in tono dubitativo: Rediculi fanum extra portam Capenam fuit, quia accedens ad Vrbem Hannibal ex eo loco redierit quibusdam perterritus uisis¹: “Sorgeva oltre la Porta Capena il tempio di Rediculus poiché, all’entrata della città, Annibale si sarebbe allontanato da quel luogo, spaventato da certe cose che aveva vedute”.
  1. La sfumatura dubitativa è data dall’uso del congiuntivo perfetto nella proposizione causale “Quia Hannibal ex eo loco redierit”. L’uso del modo congiuntivo in una proposizione causale indica sostanzialmente che chi parla riferisce una causa cosí come gli è stata indicata, ma senza necessariamente condividerla. Qualora Festo avesse condiviso questa interpretazione, avrebbe senza dubbio utilizzato una forma di indicativo perfetto: rediit.

5 novembre 2014


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.


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