Curiosità linguistiche
Il color kakhi



Circola da tempo una battuta sulla diversa percezione dei colori da parte degli uomini e delle donne. In sostanza, secondo lo scherzo, gli uomini distinguono non piú di una decina di colori, le donne varie centinaia, tra cui il famigerato fucsia: di cui, a quanto si dice, la maggior parte degli uomini non saprebbe neanche scrivere correttamente il nome. Chiedete poi a un uomo di distinguere un verde pisello, un verde mela, un verde limone e (sempre secondo lo scherzo) vi guarderanno smarriti.
Oggi parliamo appunto di un colore: il color khaki. E qui c’è poco da scherzare, perché questo è un colore ben piú caro e familiare agli uomini che alle donne. Si tratta di una particolare tonalità di giallo-marroncino frequentemente utilizzata per le uniformi militari. È, diciamo cosí, un color sabbia, che in effetti prende il suo nome dalla parola indostana che designa un tipo di terreno arido; che ha appunto quel colore.
Stranamente però, alcuni credono che il colore prenda nome dal quasi omonimo frutto, il kaki, il cui nome italiano a dire il vero sarebbe diospero. Be’, si tratta appunto di un caso di (quasi) omonimia; o meglio, per la pronuncia italiana, di omonimia senza omografia. Il nome del suddetto frutto è però di origine giapponese, come il frutto stesso. Il quale, soprattutto, ha un colore ben diverso dal color khaki.

Color khaki      Ecco un campione di color khaki.

Colore del kaki      Ecco un campione del colore di un kaki.

Si noti che sia la grafia del nome del colore che quella del nome del frutto sono spesso adattate agli usi ortografici della lingua italiana: in questo caso si scriverà cachi per entrambi i sostantivi. La grafia italianizzata è naturalmente corretta anche se alcuni preferiranno mantenere le grafie di uso internazionale. Si noti anche che il nome del frutto, comunque lo si scriva, è un sostantivo invariabile, e vanno quindi biasimate forme di singolare come caco, che sovente capita di udire.

17 dicembre 2014


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.

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